Non c’è donna che non si sia mai sentita rivolgere parole come queste. Parole a cui ci si abitua, tanto sono consuete. La violenza che contengono non ci stupisce, al massimo produce un groppo alla gola a cui non si riesce a dare spiegazione. E più queste parole diventano quotidiane, più si rischia di adottare lo stesso sguardo misogino sul mondo. Del resto, questo linguaggio non appartiene solo alla nostra quotidianità – il mondo reale e i social media – ma permea anche le pagine dei giornali, i salotti televisivi, i comizi dei politici.
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E non sono mai solo parole: “ne uccide più la lingua”, perché tutto ciò che ci permettiamo di dire legittima ciò che ci permettiamo di fare. Le parole che abbiamo a disposizione danno una forma ai nostri pensieri e plasmano la realtà. C’è un solo modo per debellare l’odio di genere che passa per le parole: imparare a riconoscerle, decostruirle e cambiarle.
Valeria Fonte (Trapani 1998) inizia a interessarsi alla lingua e alla retorica mentre studia Lettere all’Università di Bologna. In seguito alla condivisione non consensuale di alcuni video di matrice sessuale fa i conti con la misoginia dei discorsi, del linguaggio e delle narrazioni, e decide di unire le sue competenze accademiche al bisogno di scardinare l’odio delle parole. Con il suo profilo Instagram @valeriafonte.point inizia la sua opera di attivismo. Lavora nelle scuole e nelle università come divulgatrice. Oggi è una laureanda alla magistrale di Italianistica a Bologna, una militante di strada e una retore.